Questa emergenza è stata un banco di prova anche per l’azione di carità?
Vedere preti e laici interrogarsi e provare nuove forme di vicinanza, ha offerto una testimonianza di carità davvero edificante. Penso a come continuiamo a entrate nelle case di chi è solo, malato, anziano, sia con i ministri straordinari dell’Eucaristia, sia attivando strumenti come la radio parrocchiale o WhatsApp...
Oltre al temuto impatto economico, si rischia anche un grave impatto sociale, su quello che lei ama chiamare il «buon vicinato»?
Ora capiamo che il «buon vicinato» – che sembra una cosa ovvia, mentre ora è sconsigliato il semplice ritrovarsi – è frutto di una intraprendenza. E che la carità cristiana non è mai un’inerzia ed è sempre una scelta.
Fra Messe in diretta tivù, radio o streaming, e uso dei social, la Chiesa riscopre com’è possibile usare bene e a fin di bene i mezzi di comunicazione...
Per noi è una sfida grande, che cerchiamo di affrontare. Lo fa Avvenire, proponendo anche in questi giorni un’informazione diversa per tono e contenuto. Per quello che io ho capito dei media attuali, è che sono più abili a diffondere l’allarme che la buona notizia, a scoraggiare che a incoraggiare. L’allarme si scatena in fretta, quando la notizia insinua l’idea di una pandemia inarrestabile. Abbiamo bisogno di contrastare questa tendenza a incidere più sull’emotività che sulla riflessione, dando spazio al ragionamento, alla competenza, alla giusta proporzione delle cose.
Nel «Pensiero di benedizione» diffuso domenica scorsa, lei ha scritto che Dio è alleato del bene, di chi fa il bene, di chi desidera il bene. Mentre non manca, anche sui social, chi presenta il virus come castigo divino...
Noi crediamo nel Dio che ci ha rivelato Gesù. E non in un Dio vago, minaccioso, vendicativo, enigmatico... Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori? Ecco, del cieco nato, cosa chiedono i discepoli a Gesù. E Gesù contesta la loro domanda e questa visione del rapporto con Dio. Noi crediamo che Dio è alleato del bene. E che si fa carico del male, e non lo usa come strumento per vendicarsi, o minacciare, o convincere a cambiar vita. L’idea di punizione divina non fa parte della visione cristiana.