«La città di oggi, come la città di ieri, si difende con l’indifferenza dall’imbarazzo per la presenza di Gesù e del suo mistero, ma noi, discepoli, diamo testimonianza alla città dell’attrattiva di Gesù che offre a tutti una comunione nuova e fraterna, un amore nuovo e compiuto». Quella «vita nuova ed eterna», per usare ancora le parole pronunciate in Duomo dall’Arcivescovo, che parte sempre dall’unica croce di Cristo. Croce simbolicamente posta sull’altare maggiore e che contiene, per l’occasione, il Santo Chiodo, la reliquia più preziosa conservata dalla Chiesa ambrosiana – la tradizione la vuole già venerata ai tempi di sant’Ambrogio – che veglia, da secoli, all’interno della Cattedrale, essendo normalmente custodita alla sommità della volta del presbiterio.
Nella Cattedrale gremita – in Cappella feriale, dove parte e ritorna la Nivola, trovano posto i Canonici del Capitolo metropolitano, alcuni ministri delle Chiese ortodosse, tanti chierichetti e chierichette provenienti da diverse Zone della Diocesi e anche un gruppo di fedeli di Mantova -, l’omelia diviene un monito attualissimo per tutti.
«La presenza di Gesù risulta imbarazzante in città, mette a disagio la sua parola e il suo comportamento. Mette a disagio anche da morto. Così è successo a Gerusalemme, ma forse la sua vita, il suo insegnamento, la sua morte, risultano imbarazzanti anche oggi».
Qui e ora, nel terzo millennio, nelle nostre strade e paesi, in quella città «che ha i suoi criteri, i suoi affari, le sue scadenze e che si sente a disagio di fronte alle parole e allo stile di vita di Gesù».
«La città con i suoi slogan, il suo ossequio al potere di chi sale alla ribalta della notorietà e del potere, prova disagio per chi mette in discussione gli idoli e il potere costituito. La città che vuole celebrare le sue feste, i suoi criteri di bellezza, la sua fiducia in ciò che possiede e in ciò che sa fare, si sente a disagio di fronte a uno spettacolo che ricorda l’esito finale della vita degli uomini e l’imminenza della morte».
Che fare allora? Semplice: occorre togliere di mezzo chi è così imbarazzante, rimuovendolo dalla vita e dalla vista in tutti i sensi.
Ma noi, invece – suggerisce l’Arcivescovo -, «esponiamo il Sacro Chiodo per invitare tutti a riconoscere che nel Crocifisso c’è l’unica possibilità di salvezza. Veneriamo questa reliquia insigne della devozione dei secoli per continuare a tenere fisso lo sguardo su Gesù, crediamo che nella morte di Gesù innalzato sulla croce, ci sia la rivelazione attraente della gloria di Dio. Veneriamo il Sacro Chiodo per insistere a cercare risposte alle nostre domande, pace alle nostre inquietudini, promessa di vita eterna che vinca la nostra paura della morte. Volgiamo lo sguardo a Colui che hanno trafitto per riconoscere che questa morte ha vinto la morte: volgiamo lo sguardo a Gesù morto per riconoscere che in questa solitudine è stata vinta la solitudine e la sua parola è principio di una nuova comunione: volgiamo lo sguardo a Colui che è stato innalzato per riconoscere che nell’umiliazione della morte vergognosa si rivela l’amore che attira tutti a sé, il compimento dell’amore».